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サマリー
あらすじ・解説
Ho odiato tantissimo il letto col materasso ad aria che continuava a gonfiarsi e a sgonfiarsi a un ritmo spropositato; comprendo la necessità di un tale sistema per fare muovere almeno un minimo le membra dei malati, soprattutto anziani, costretti a non lasciare il letto nemmeno per un momento, ma a causa delle famose punture del secondo antibiotico, poi inutile, che mi aveva fatto Rosa, quello stupido materasso mi premeva ogni santa volta sui lividi che mi si erano creati sui glutei, che dolore! come se non bastassero già tutti gli altri fastidi che dovevo affrontare durante la giornata, e durante ogni nottata passata in ospedale! L'apnea di brutti ricordi si interrompe solo quando finalmente la febbre scompare, e più o meno parallelamente posso cominciare a camminare avanti e indietro anche nei due lunghi corridoi del reparto, a lasciare quella stanza ormai soffocante, perché mi viene data una piccola bombola di ossigeno su un carrellino trascinabile. E pensare che questo cambiamento è avvenuto giusto in tempo, perché l'anziana signora della mia stanza ha poi cominciato a stare male, a ingolfarsi di catarro e a non riuscire a espellerlo, a tossire emettendo un alito molto cattivo, tanto da far diventare l'aria della stanza pesantissima, irrespirabile, soprattutto per qualcuno coi polmoni provati come me. Così la prima notte della "libertà corridoriale" sono uscita dalla stanza per disperazione, dicendo alle infermiere di aiutare la signora perché, senza offesa, ironicamente e seriamente allo stesso tempo, stava diventando insopportabile. Allora mi ritrovo a sedermi fuori dalla stanza, con una sedia nel corridoio, tanto con le crisi della signora quella notte non avrei potuto dormire. Inoltre, gli schiamazzi notturni degli infermieri, a qualsiasi orario, erano veramente schifosi, colpevoli, ma presto avrei trovato una soluzione anche per quelli: un paio di tappi per le orecchie mi avrebbero fatto dormire per qualche ora rigenerante nelle ultime due notti. Hanno poi aiutato la signora, le hanno aspirato via tutto il macello di scarto che la soffocava, ma ho continuato a mettermi fuori dalla stanza con la sedia un po' quando ne sentivo il bisogno, perché nella stanza l'aria diventava spesso irrespirabile e l'areazione ci metteva sempre del tempo a renderla di nuovo pulita. Quando mi hanno tolto un accesso venoso e l'arteria artificiale, rimanendo con un solo accesso venoso, mi sembrava come di volare, avevo abbandonato il bastone delle flebo, avevo potuto mettere un pigiama normale senza incastrare i tubicini nelle maniche – per questo fino a lì avevo indossato ancora il camice, con una maglia apribile davanti, pesante, sopra, anche per passeggiare nell'intero reparto. La mia ripresa è stata eccezionale, in qualche giorno sono stata immensamente meglio, il mio fisico reattivo era ritornato all'attacco, a un certo punto avevano portato via la maschera CPAP senza farmela più vedere, dicendo fosse quello il percorso: attaccartici costantemente all'inizio per poi toglierla repentinamente e farti reagire da solo. All'orario di visita era bello vedere i miei genitori nella parte esterna del reparto, sempre con la bomboletta dell'ossigeno a portata di mano in caso di necessità, ma anche quella sempre meno in uso. Durante gli ultimi tre giorni sono anche stata soprannominata "la portinaia", perché la mia stanza si trovava appunto all'ingresso del reparto, e per scappare dall'alito pesante della signora mi mettevo nel corridoio a leggere "Il fuoco interiore" di Alberto Mantovani, che sempre per un incastro del destino, si trovava nella mia scaletta di lettura proprio in quel momento della mia vita. Ma quello che mi è rimasto più addosso nelle passeggiate finali della terapia sub-intensiva, era stata la visione di quella cascata di stanze piene di anziani, che mi facevano chiedere sempre più dove diavolo fossi finita, e perché.
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